Nel nostro Paese, la depressione è il disturbo mentale più diffuso: 2,8 milioni di abitanti (5,4% delle persone di 15 anni e più) ne hanno sofferto nel corso del 2015. A questa, poi, si associa spesso l’ansia cronica grave.
La prevalenza di entrambi i disturbi aumenta con il crescere dell’età (dal 5,8% tra i 35-64 anni al 14,9% dopo i 65 anni) e si possono notare delle differenze di genere: rispetto agli uomini, le donne sono più colpite a partire dall’età adulta con peggioramento del divario oltre i 65 anni di età (19,2% delle donne contro il 9,5% degli uomini).

Fattori di rischio

Queste malattie non sono indifferenti alle condizioni sociali, economiche e relazionali delle persone. Ad esempio, rispetto ai loro coetanei con titoli di studio più elevati, la presenza di depressione e ansia raddoppia negli adulti con basso livello di istruzione.

Tra i fattori che incrementano il rischio di soffrire di depressione e/o ansia, inoltre, ci sono l’essere affetti da limitazioni nelle attività quotidiane (situazione che aumenta più di 8 volte il rischio nei giovani e negli adulti e di 5 volte negli anziani), così come la percezione di una debole rete di sostegno sociale, la rottura di un rapporto relazionale ritenuto importante, l’esclusione dal mondo del lavoro, la percezione di dolore fisico grave o moderato, malattie croniche, problemi familiari o di coppia che hanno effetti ed incidenze differenti a seconda delle età di riferimento, ma che rappresentano certamente fattori di rischio.

Effetti

Non solo alcune condizioni aumentano il rischio di ammalarsi di questi disturbi, ma si avvera anche il contrario; depressione e ansia incidono pesantemente su altri aspetti della vita, determinando spesso anche un circolo vizioso.

Gli effetti di ansia e depressione sono pervasivi e investono molte attività, infatti, limitando a volte in modo importante la vita quotidiana.
Ad esempio, circa un quarto (25,4%) delle persone di età compresa tra i 18 e i 64 anni affette da depressione e/o ansia cronica grave soffre di limitazioni importanti nello svolgimento delle attività quotidiane contro il 4,6% in chi soffre di altre malattie diverse dall’ansia o depressione. Analogamente, tali disturbi impattano di più anche in termini di calo di concentrazione e di minore resa rispetto alla presenza di altre malattie croniche diverse.

Le influenze negative non finiscono qui: nelle persone giovani e adulte che si dichiarano affette da depressione o ansia cronica grave si osserva anche una generale tendenza verso comportamenti poco salubri o a rischio per la salute: maggiore tendenza a fumare abitualmente e a riportare incidenti domestici. Allo stesso modo, in chi soffre di queste patologie c’è una maggior incidenza di inattività lavorativa. Ma anche chi fra loro lavora, fa molte più assenze: il numero medio di giornate di assenza dal lavoro è tre volte superiore tra gli occupati affetti da depressione o ansia.

Suicidio

Il suicidio è certamente altamente correlato con problematiche depressive e/o ansiose, per quanto queste non siano le uniche cause.
Su scala globale, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) riporta che quasi 800.000 persone muoiono per suicidio ogni anno e nei giovani tra i 15 e i 29 anni il suicidio rappresenta la seconda causa di morte. In Italia, tuttavia, questo valore è fra i più bassi di Europa nella popolazione sotto i 65 anni (6 decessi su 100.000), mentre diventa alto anche rispetto ad altri paesi nella nostra popolazione over 65.

Il suicidio resta comunque nel nostro Paese un’importante causa di mortalità tra i più giovani. I suicidi rappresentano infatti quasi il 12% dei decessi tra i 20 e i 34 anni (oltre 450 decessi), per quanto l’età più a rischio di suicidio resti sempre quella degli ultrasessantacinquenni, con un tasso pari a 10,5 per 100mila persone e marcate differenze di genere (19,0 per gli uomini e 4,0 per le donne).

Riflessioni

Di fronte a statistiche così impressionanti, diventerebbe fondamentale svolgere una seria azione preventiva che vada a lavorare su più livelli, prima ancora che un lavoro di cura. Come si capisce dal report, è evidente che molti fattori influenzano tali stati mentali e, lavorando su questi, è evidentemente possibile ridurre l’incidenza di malattie così impattanti sulla qualità della vita. Purtroppo, anche uno stigma sociale pesante verso chi soffre di problemi psicologici e ricorre a professionisti della salute (in primis psicologi e psichiatri) non aiuta le persone ad affrontare la difficoltà già ai primi sintomi, quando ancora l’intervento potrebbe essere più rapido e riportare ad un equilibrio e ad una serenità quanto mai necessari.

Non nascondo una certa delusione nel vedere quanto poco venga investito in prevenzione, educazione delle persone e comunicazione che aiuterebbero ad intervenire sulle cause o sulle prime avvisaglie di disturbi tanto invalidanti. Ciò aiuterebbe anche i cittadini a comprendere come una malattia mentale non debba essere vista in maniera diversa da una fisica la quale invece, a differenza della prima, raccoglie spesso molta comprensione e attenzione.

Fra l’altro, il problema non è solo sanitario e sociale, ma persino economico. In Inghilterra esiste un ampio programma di investimento sulla psicoterapia a livello pubblico proprio per arginare il problema, poiché si è visto, numeri alla mano, che i soldi investiti venivano più che ripagati attraverso le minori incidenze di questi disturbi e di tutto il correlato di spese secondarie che si portano dietro a carico dello Stato.
In pratica, investendo si risparmia! Un po’ più di lungimiranza aiuterebbe le persone e il nostro Paese in una logica win-win.

 

[1] https://www.istat.it/it/files/2018/07/Report_Salute_mentale.pdf