Si può fare una terapia psicoanalitica via mail?

No, verrebbe da dire, e certamente è anche il messaggio che vuole passare il Prof. Cotrufo nel libro Mia madre odia le carote[1] tratto dalla corrispondenza fra Zoe (in arte, nella realtà non sappiamo chi sia) e lo stesso professore. Corrispondenza iniziata per caso ma che, alla fine, diventa una sorta di catarsi per Zoe; ciò le darà la forza di iniziare una terapia vera (dopo tanti tentativi non riusciti) con una terapeuta in carne ed ossa che riesca ad andare a fondo della sofferenza di una ragazza la quale, pur guarita dai disturbi alimentari, non riesce ancora a trovare una via per rendersi completamente autonoma e vivere pienamente la propria vita.

Dopo avere ricevuto un messaggio da Zoe, inviato forse un po’ per lanciare una richiesta di aiuto e un po’ per sfida, il prof. Cotrufo, esperto di disturbi alimentari, le risponde. Inizia così una corrispondenza lunga quasi un anno senza mai vedersi di persona. Cotrufo chiarisce subito a Zoe che non può considerarsi il suo terapeuta e anche come le sia necessaria una terapia di persona con qualcuno che la aiuti ad affrontare i suoi fantasmi; tuttavia è certo che in questo scambio epistolare si percepisce un senso di catarsi e di autoriflessione, grazie agli spunti ricevuti dal professore che, se non può definirsi analisi, può certo considerarsi un suo buon preliminare necessario ad attivare in Zoe una motivazione sufficiente ad andare più a fondo.

Poiché è la relazione ciò che cura – relazione con un esperto, certo, che sa cosa dire, come muoversi, cosa interpretare…relazione adatta che ripara relazioni distorte con i mezzi che la psicologia mette a disposizione – anche una relazione via mail, con tutte le inadeguatezze del caso, può, se non essere una terapia, certamente diventare una spinta alla stessa.

Nel carteggio si dipanano tutte le principali angosce di una donna cresciuta senza essere vista nella sua essenza e nei suoi bisogni, la quale ha trovato nel distorto rapporto con il cibo il suo modo per esprimere tutta la sofferenza e per ritrovare quel controllo che, sappiamo, per gli anoressici rappresenta una sorta di “salvezza”. Salvezza effimera e mortifera, che non può certo risolvere, ma che dà un senso di avere riacquisito padronanza almeno su qualcosa, di essere potente, così potente da potere sopravanzare le necessità richieste dagli istinti primordiali; fuga da quel terribile senso di completa inadeguatezza e impotenza vissuto da ragazzine come Zoe.

Soprattutto, si riacquisisce un senso di controllo sulle persone, che iniziano a vederti, anche se a vederti come “malata” e a preoccuparsi per te. E per sé, visto che una figlia che rischia di morire per non mangiare è un’implicita accusa al genitore e ad una relazione andata storta in qualche punto.

Questo libro permette un viaggio nella mente di una donna sofferente, nei suoi pensieri, nelle sue paure, ma anche nelle sue forze chiamate a raccolta per uscire da una situazione disperata. La prima mail a Cotrufo è, chiaramente, un messaggio di speranza che viene lanciato e un chiamare a raccolta le proprie risorse per trovare una via d’uscita con i mezzi che si hanno a disposizione. Per Zoe, in quel momento, prima di tutto i pensieri e le parole.

Per il lettore si tratta di un bel viaggio dentro al mondo dei disturbi alimentari e dei suoi significati più nascosti, non certo quelli evidenti ed eclatanti a cui, purtroppo, molti si fermano (una ragazza che non mangia, che appare non avere fame e non riuscire a nutrirsi), ma quelli più profondi (come ammette la stessa Zoe, le anoressiche hanno fame, hanno una fame terribile, devastante, ma è più forte il senso di potere e controllo di cui hanno bisogno, controllo sul cibo e sulle relazioni). Ed anche un piccolo assaggio di cosa voglia dire lavorare in modo psicoanalitico sulla psiche, sulle sue tortuose – eppure magnificamente eloquenti, per chi le sa leggere – associazioni.

Non è un libro utile solo a chi si occupa di psicoanalisi o a chi ha difficoltà alimentari. Attraverso un problema si può comunque cogliere il modo che ha la nostra mente e il nostro corpo di rispondere alle sfide più importanti della vita e capire come guardarle in faccia ed affrontarle nel modo giusto – o con l’aiuto giusto – possa evitare dinamiche autolesionistiche che, in casi come quello dell’anoressia, possono arrivare fino alla morte, nel più paradossale dei giochi in cui, per vincere, devo annullarmi.


[1] Mia madre odia le carote. Corrispondenza psicoanalitica tra sconosciuti, anoressia, corpo, sessualità, P. Cotrufo, Zoe, 2016, MIMESIS edizioni,  Sesto San Giovanni (MI)