Merita di essere letto il libro di Temple Grandin, Il cervello autistico[1], seppure di qualche anno fa. Adatto a tutti, scritto con linguaggio chiaro e semplice (tranne qualche incursione più specialistica nel mondo delle TAC, risonanze magnetiche e anatomia del cervello che, tuttavia, non toglie niente alla scorrevolezza del libro), è un affascinante viaggio nell’universo autistico che coniuga due aspetti importanti: l’analisi accurata delle scoperte scientifiche su questo disturbo dello sviluppo unito ad una visione da dentro – da parte di una famosa scienziata con sindrome di Asperger – che regala una lettura più completa di alcuni sintomi autistici e delle loro possibile cause.

Il punto di forza di tale scritto si fonda, a mio parere, non tanto sulla descrizione di studi ed esperimenti, ma soprattutto in una visione imperniata sull’importanza di focalizzarsi non solo su disturbi, mancanze, difetti e relative cause, bensì sui punti di forza del singolo individuo e su come potenziarli per aiutare l’apprendimento di questi bambini e lo sviluppo di un’autonomia e di una maggiore capacità sociale.

L’autrice, forse già conosciuta a qualcuno grazie al libro di Oliver Sacks, Un antropologo su Marte, che raccontò la sua storia o al film Temple Grandin – una donna straordinaria è una professoressa della Colorado State University ed una delle più note personalità affette dalla sindrome di Asperger (la variante ad alto funzionamento del disturbo dello spettro autistico).

Grazie alla sua esperienza diretta, ci mostra alcune lacune della ricerca e dell’intervento in tale campo, aspetti non sufficientemente colti e rilevati nella loro importanza. Illuminante, da questo punto di vista, è la differenza sostanziale che la Grandin sottolinea fra il “Sé pensante” e il “Sé agente”, in qualche modo fra ciò che noi possiamo vedere all’esterno (dove notiamo comportamenti bizzarri e preoccupanti) e ciò che succede all’interno della persona; divario che potrebbe spiegare in modo più sensato alcuni atteggiamenti apparentemente assurdi all’occhio dell’osservatore esterno ma che assumono un senso chiaro – e spesso di sopravvivenza all’interno di un mondo vissuto come caotico – per il bambino sofferente.

Una particolarità che la Grandin ritiene poco analizzata nelle sue conseguenze, ad esempio, è l’ipersensibilità dei bambini autistici che chiarirebbe in buona parte alcuni sintomi tipici, come la tendenza a comportamenti ripetitivi, stereotipati o anche aggressivi e distruttivi. Se per alcuni bambini un suono diventa un rumore assordante e terribilmente intrusivo, se alcuni materiali a contatto della pelle creano sensazioni insopportabili e così via, allora i tentativi di straniamento o, al contrario, agitazione, rabbia e paura di fronte a percezioni per noi normali possono spiegarsi con molta più chiarezza e trovare il loro senso, oltre che un’attenzione maggiore e un intervento più centrato da parte dei curanti.

Tema ricorsivo e centrale per la Grandin è l’attenzione all’individualità; troppo spesso la scelta dei ricercatori punta a quanto unisce e caratterizza alcune patologie, senza approfondire invece ciò che distingue, i caratteri specifici e unici di ciascuno. Il rischio diventa quindi quello di omologare le persone sofferenti sotto etichette che, nella realtà, uniscono caratteri e competenze molto differenziate. L’augurio dell’autrice (e, mi sento di aggiungere, di chiunque si occupi di clinica e riabilitazione) è quello di potere in futuro affrancarsi da questa modalità e concentrarsi sulla singolarità di ciascun bambino; “ho fiducia che, quale che sia il pensiero sull’autismo, comporterà la necessità di considerarlo cervello per cervello, stringa di DNA per stringa di DNA, tratto per tratto, punto di forza per punto di forza e, forse la cosa più importante, individuo per individuo”.

 

[1] Il cervello autistico. Pensare oltre lo spettro, Temple Grandin, 2014, Adelphi edizioni, Milano