Nell’immaginario collettivo lo psicologo è solitamente associato alla cura della malattia mentale o di difficoltà psicologiche. In realtà, quella è solo una parte del vasto campo di attività professionale e non è neanche la più ampia. Da sempre noi psicologi abbiamo il mandato, formalizzato anche nella Legge istitutiva dei nostri Ordini, di utilizzare gli ”strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità” oltre che ad occuparci di “attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito”[1].
E’ evidente come, quindi, la psicoterapia sia solo una parte del tutto, riservata a chi ha adeguata formazione successiva alla laurea, ma di base le nostre competenze spazino su ambiti molto differenti nei quali ci occupiamo, essenzialmente, di benessere: che si tratti di orientare le persone a trovare l’occupazione più confacente alle proprie capacità, di sviluppare l’empowerment, il riconoscimento e l’utilizzo delle proprie risorse interne, di analizzare l’ergonomia di un oggetto o di aiutare le persone a migliorare il loro stile di comunicazione (per citare solo una minima parte degli infiniti campi di applicazione di questa disciplina), l’obiettivo finale è, come definito anche nel nostro Codice Deontologico, quello di “accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità. In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace” (art. 3 del CD).
In qualche modo, il nostro primo mandato è quello di aiutare le persone ad ottenere un funzionamento ottimale, grazie alla conoscenza e al buon utilizzo delle proprie risorse interne, in qualunque campo esse si applichino.
La terapia di condizioni più o meno patologiche è un intervento fondamentale, ma che si attiva solo in situazioni particolari in cui qualcosa nel tentativo di adattamento del paziente non è andato come doveva. A quel punto, è sempre la serenità, l’utilizzo consapevole dei propri mezzi, l’autonomia e l’indipendenza che si cerca di stimolare nel paziente, ma questo può avvenire solo dopo un percorso più complesso e approfondito il quale, prima di tutto, mira a curare la persona, ad aiutarla a – diciamo – recuperare il terreno perso prima di riniziare la gara.
MA COS’È IL BENESSERE?
In linea generale, possiamo dire che è uno stato che coinvolge tutti gli aspetti dell’essere umano e caratterizza la qualità della vita di ogni singola persona. Esso è collegato alla nostra attitudine ad attivare le competenze individuali per affrontare efficacemente le difficoltà che incontriamo normalmente nella vita. A questo si aggiunge la capacità di provare soddisfazione dalle nostre attività, dai rapporti affettivi che intessiamo e dalla possibilità di esprimere la nostra personalità. In pratica, si può raggiungere solo quando vi sia un’armonia tra l’uomo e il suo ambiente (fisico, interiore e relazionale), come risultato di un processo di adattamento ai diversi fattori che incidono sulla nostra esistenza.
Secondo Martin Seligman, collega statunitense che ha dato origine alla psicologia positiva, cioè alla branca della nostra disciplina che si occupa proprio di questi argomenti, il benessere è un costrutto “che a sua volta contiene degli elementi misurabili, ognuno dei quali contribuisce al benessere, ma nessuno dei quali lo definisce”; le sue parti sarebbero costituite da emozione positiva, coinvolgimento, significato, realizzazione e relazioni positive[2].
Lo psicologo possiede quindi, nei diversi settori in cui opera, le competenze per riconoscere e fare emergere le potenzialità della persona al fine di raggiungere ed ottimizzare il suo stato di benessere.
Non possiamo immaginare il benessere come qualcosa di semplice e non composito, essendo la natura umana sfaccettata e complessa. Ciò è talmente evidente che persino in economia, in piena epoca consumistica, si sta pian piano arrivando a tale conclusione.
IL RICONOSCIMENTO DEL FATTORE UMANO NEGLI INDICI ECONOMICI
Oggi alla parola “benessere”, infatti, si tende ad associare immediatamente l’immagine di ricchezza.
Non a caso, quindi, ciò che viene utilizzato da tempo come indice dello stato di salute (o di malattia) di un paese è il PIL, cioè il Prodotto interno lordo che, in macroeconomia, rappresenta il valore monetario totale dei beni e servizi realizzati in un Paese in un anno.
Tuttavia, è sempre più evidente che i soldi prodotti non sono affatto correlati con lo stato di felicità delle persone o degli Stati (non a caso non ritroverete in nessuno studio psicologico la ricchezza nell’elenco degli aspetti essenziali per raggiungere la felicità).
Tanto che, nel tempo, sempre più studiosi hanno iniziato a puntare l’attenzione verso una misurazione più complessa dello stato di salute di un Paese (e, implicitamente, delle persone).
Nel 2008, il presidente francese Sarkozy addirittura richiese a un team di esperti capitanati dal premio Nobel Stiglitz una riflessione sulla crescita del Paese e sui suoi indicatori. Essi spiegarono come misurazioni viziate delle tendenze economiche (come il solo PIL) potevano condurre ad una visione alterata della realtà e che erano quindi necessari ulteriori indicatori con una maggiore attenzione alle ineguaglianze sociali, generazionali, sessuali e culturali oltre che alle questioni ambientali e alla crescita delle concentrazioni di gas a effetto serra.
Una visione, quindi, decisamente differente da quella che aveva rappresentato il pensiero dominante fino ad allora.
Un esempio simile è quello che riguarda il FIL, cioè la misura della Felicità Interna Lorda. Nel 2010 il Bhutan, piccolo stato montuoso dell’Asia,, iniziò ad adottare il FIL come indicatore per calcolare il benessere della popolazione. I criteri presi in considerazione sono la qualità dell’aria, la salute dei cittadini, l’istruzione, la ricchezza dei rapporti sociali. Secondo alcuni dati questo paese è uno dei più poveri dell’Asia, ma è anche, secondo un sondaggio, la nazione più felice del continente e l’ottava del mondo.
Per questo sempre più persone stanno considerando la necessità di prendere come riferimento indici più complessi, non riferiti solo ad aspetti economici, ma ad una visione più completa dell’essere umano e di ciò che lo può rendere felice ed appagato.
In maniera simile, il Genuine Progress Indicator — che cerca effettivamente di misurare il benessere – misura lo sviluppo economico, integrandovi però i fattori ambientali e l’inquinamento creato o annullato dall’attività di impresa con lo scopo di sostituire e superare il Prodotto Interno Lordo (PIL) come misuratore dello sviluppo economico. Inoltre, distingue fra sviluppo utile e sviluppo poco economico, diversamente dal PIL, a cui si propone come alternativa, il quale reputa tutte le spese come positive e non considera tutte quelle attività che, pur non registrando flussi monetari, contribuiscono ad accrescere il benessere di una società (casalinghe, volontariato).
Questo passaggio progressivo che in alcuni Stati si sta realizzando da una visione prettamente economica ad una più a misura d’uomo è, in un certo senso, simile all’idea di salute che l’Organizzazione Mondiale della Sanità già nel 1948 adottava, definendola “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o di infermità”[3].
Insomma, per essere felici e soddisfatti, non basta non stare male, ma è necessario anche stare bene.
E il benessere si misura su caratteristiche composite, non su un singolo elemento (che siano la ricchezza o l’assenza di malattie).
A sua volta, nel rapporto della Commissione Salute dell’Osservatorio Europeo su sistemi e politiche per la salute (a cui partecipa anche il distaccamento europeo dell’OMS) il benessere viene definito, come “lo stato emotivo, mentale, fisico, sociale e spirituale di benessere che consente alle persone di raggiungere e mantenere il loro potenziale personale nella società”.
Cinque aspetti su cui la psicologia ha molto da dire e strumenti adeguati da mettere a disposizione per aiutare le persone a raggiungere e mantenere uno stato di benessere.
[1] Legge 56/89, art. 1, “Definizione della professione di psicologo”
[2] M.E.P. Seligman, Fai fiorire la tua vita, Anteprima, Torino, 2012, p. 29
[3] Organizzazione Mondiale della Sanità, Costituzione dell’OMS, 1948