Negli ultimi anni i disturbi psichici sono andati aumentando nella popolazione; con essi, anche l’uso degli psicofarmaci – non solo i prescritti, ma anche quelli autosomministrati – i quali vengono presi come prima ed immediata risposta a dei bisogni che, il più delle volte, necessiterebbero di ben altre forme di cura. La ricerca della soluzione chimica e “prêt-à-porter” riflette non solo un aumento di problematiche psichiche, infatti, ma anche una modalità di rispondere ad esse che segue la visione odierna del “tutto e subito, senza sforzo”. La riflessione, la ricerca di cause, risorse interiori e soluzioni richiedono un impegno il quale, per molti, viene considerato superfluo o faticoso, dimenticando che lo psicofarmaco, anche quando è utile, dà una risposta di tipo sintomatico (cioè influisce sul sintomo) ma non estirpa le cause del problema, le quali possono rideterminare gli stessi effetti non appena cessi la cura, poiché non solo non si è eliminata l’origine del disagio, ma non si è dotata neanche la persona di strumenti per affrontarlo e risolverlo.

E’ chiaro che, in alcune situazioni, le medicine sono assolutamente necessarie e non se ne può negare l’utilità, ma troppo spesso vengono usate anche laddove soluzioni differenti – e con risultati molto più definitivi e senza effetti collaterali – potrebbero essere proposte.
L’idea del farmaco che cancella rapidamente ogni problema (ma lo stesso può dirsi anche della fantasia che esista un consiglio o una tecnica, ad uso immediato, che lo psicologo può darci per risolvere un disagio subito, senza alcuna riflessione e comprensione delle dinamiche restrostanti) rappresenta l’esito di un’aspettativa magica, della “pillola perfetta” che risolva le difficoltà senza fatica; mentre, quando si ha a che fare con la psiche, l’impegno personale ed un lavoro interiore – più o meno complesso – sono sempre da fare. Può sembrare più difficile all’inizio, ma i risultati incidono su aspetti molto diversi: non il sintomo, ma le cause, non l’aiuto esterno senza il quale non sto bene, bensì un accrescimento delle capacità interiori per arrivare, un po’ alla volta, ad affrontare in autonomia e in modo sempre più efficace ed equilibrato ciò che prima creava il problema.

Ma veramente non c’è una soluzione diversa per affrontare questa costante ascesa del disagio psicologico?
In Inghilterra, pare che l’abbiano trovata. Negli ultimi anni, infatti, grazie ad un economista, Richard Layard, la Gran Bretagna sta affrontando una vera rivoluzione sanitaria; si potrebbe definire quasi “copernicana”, visto che capovolge il modo di vedere la malattia mentale e le modalità più adeguate per approcciarla. Layard ha, infatti, convinto il governo inglese ad investire centinaia di milioni di euro per formare psicoterapeuti in grado di trattare la depressione nell’assistenza sanitaria di base. Cosa c’entrano un economista e la psicologia? Semplice: Layard si è accorto che, nonostante i molti soldi investiti, ci sarebbe stato un ritorno economico decisamente maggiore, derivato da un consistente risparmio per lo Stato.
La depressione, infatti, ha costi altissimi sia diretti (visite, esami, farmaci, ecc.) sia indiretti (come assenteismo e disabilità lavorativa).
In pratica, la spesa per lo Stato dovuta alla depressione e alle sue conseguenze sarebbe pari a circa l’1,5% del prodotto interno lordo del Regno Unito (circa 24 miliardi di Euro!). Spendere centinaia di migliaia di euro per fare lavorare psicoterapeuti addestrati adeguatamente, paradossalmente sarebbe un modo per risparmiare somme astronomiche.
La cifra investita in psicologia viene restituita con gli interessi (e non pochi!) attraverso economie che la persona e la società ottengono da uno stato di salute migliore dei cittadini. Peccato che una delle più grandi battaglie per il benessere mentale debba essere portata avanti da un economista, ma ad oggi i soldi sembra che siano l’unica cosa che desta interesse.

Questa soluzione può sembrare una follia in Italia, ma in realtà rappresenterebbe una scommessa sulla salute delle persone e sul risparmio della pubblica amministrazione. Certo, prevedrebbe una visione a lungo termine nelle scelte politiche ed economiche. Forse, qui da noi, ancora un’utopia…